Il mercato del lavoro non sembra avere grande intenzione di raffreddarsi negli Stati Uniti facendo storcere il naso quelle che sembravano finora essere le idee dominanti di mercati e FED, ovvero una consistente riduzione dei tassi di interesse in un anno elettorale come il 2024. Tagli nel costo del denaro che probabilmente riguarderanno la prima parte dell’anno anche per non interferire con una campagna presidenziale che si presenta difficile con Trump ancora in dubbio e un Biden in netto calo di popolarità.
L’economia non sembra quindi essere pronta ad entrare in recessione. A dicembre sono stati creati 216 mila posti di lavoro con gli analisti che se ne aspettavano 175 mila. Resta in contrazione l’Ism manifatturiero, l’indice che misura l’andamento del settore industriale negli Stati Uniti. A dicembre, è salito a 47,4 punti, meglio delle attese, dai 46,7 di novembre. L’indice ISM ha registrato il quattordicesimo mese consecutivo al di sotto dei 50 punti, il periodo più lungo dalla Grande recessione del 2008-2009. L’indice sui nuovi ordini è sceso da 48,3 a 47,1, quello sulla produzione è salito da 48,5 a 50,3, quello sull’occupazione è risultato in aumento da 45,8 a 48,1.
In Europa, intanto, il mercato stima addirittura sei tagli nei tassi di interesse grazie ad un’inflazione in rallentamento (ma meno del previsto) e un’economia in stagnazione. I recenti dati preliminari sui prezzi al consumo europei confermano il rallentamento ma la permanenza sopra il target del 2% nella maggior parte dei paesi (fa eccezione l’Italia) è un qualcosa che farà riflettere la BCE. E l’euro non a caso approfitta di questa situazione. A dicembre l’inflazione europeo è infatti risultata del 2,9% in rialzo rispetto al 2,4% di novembre ma con il dato core in contrazione al 3,4% rispetto al 3,6%. Siamo ai livelli, comunque, più bassi da marzo 2022.
Dopo una rapida ascesa nella parte terminale del 2023 e che ha spinto EurUsd nuovamente a ridosso delle resistenze di area 1,11/1,12 per quello che riguarda il cambio più seguito del pianeta si è assistito ad un rapido ritracciamento che ancora una volta ha confermato la valenza di certi livelli di resistenza che fanno da spartiacque tra una correzione all’interno di un bear market e la nascita di un nuovo trend sfavorevole al dollaro.
La stagionalità dei primi due mesi dell’anno è dalla parte del dollaro, ma i supporti di area 1,08 dove passa anche la media mobile a 200 giorni, sembrano rafforzare l’idea di un nuovo tentativo di attacco alle resistenze che l’euro potrebbe portare nelle prossime settimane.
La parete superiore delle bande di Bollinger rappresentate nel grafico su scala settimanale, confermano la valenza della resistenza e soprattutto la possibilità che le prossime settimane siano contraddistinte da un ritorno del cambio nella parte centrale di un range posizionato tra 1,07 e 1,08. Il mercato dovrebbe muoversi in questo spazio laterale anche in attesa di nuovi dati macro, delle prime riunioni dell’anno delle banche centrali e delle tensioni geopolitiche che solitamente favoriscono il biglietto verde. Ancora prematuro dare per finito il bull market del dollaro quindi.