La FED non corre in soccorso di Trump, anzi. Le dichiarazioni del Presidente della FED Powell della scorsa settimana hanno fatto emergere un clima di disaccordo abbastanza evidente con l’amministrazione che risiede alla Casa Bianca.
Powell ha detto che la politica non influenzerà in alcun modo le decisioni della banca centrale su tassi, che al momento appaiono appropriati e che richiedono ancora tempo prima di essere mossi per considerare gli effetti dei dazi su consumi e investimenti.
Al momento, ha proseguito Powell, l’economia americana prosegue su un percorso di crescita solido ma all’orizzonte ci sono diverse incertezze. È molto probabile che i dazi generino almeno un aumento temporaneo dell’inflazione secondo il Presidente di una FED, che ha mostrato anche il timore di doversi scontrare a breve con l’andamento divergente di quelli che sono i suoi obiettivi di stabilità. Ovvero l’occupazione e l’inflazione. La prima danneggiata da un rallentamento economico, la seconda dai dazi.
L’ira di Donald Trump verso Powell non si è fatta attendere con rumors che vorrebbero il tycoon desideroso di rimuovere il Presidente FED dal suo incarico.
Il mercato per il momento prezza 100 punti base di taglio nei prossimi 12 mesi ma con molta incertezza.
Trump intanto continua a gettare benzina sul fuoco con lo scontro con Pechino che rimane particolarmente acceso. Soprattutto le terre rare rischiano di essere campo di battaglia commerciale considerando che gli Stati Uniti importano dalla Cina il 70% di quelle utilizzate nelle produzioni manifatturiere.
L’Europa intanto fa tesoro delle timide aperture americane sui dazi e la missione del premier italiano Meloni alla Casa Bianca potrebbe aver fatto da ponte ad un approccio più convinto tra i diplomatici.
Per il momento l’Europa attende prima di applicare dazi reciproci con il 10% già deciso da Trump assieme al 25% su auto e metalli già in vigore negli scambi tra le due aree economiche. La BCE intanto taglia il costo del denaro al 2,25% visto il persistere di minori pressioni inflazionistiche e debole crescita.
Il dollaro americano continua a rimanere debole contro le principali valute del G10, ovvero euro e yen giapponese. Due currency che sono anche le principali in termini di peso del Dollar Index. La sintesi del valore del biglietto verde espressa dal Dollar Index ci dice infatti che siamo di fronte ad un momento decisivo. I supporti di quota 100 sono sotto pressione e il minimo del 2023 è l’ultimo baluardo prima di una rottura che avrebbe impatti notevoli in chiave strategica per chi è posizionato in questo momento lungo di dollari americani.
EurUsd torna in ipercomprato ma al tempo stesso sta cercando di forzare le importanti resistenze di area 1,13 che rappresentano circa i due terzi della correzione dai massimi del 2021 di 1,237. Una chiusura del mese di aprile sopra questa importante resistenza tecnica rappresenterebbe un segnale bullish forte che imporrebbe un cambio di atteggiamento verso il dollaro americano con la debolezza che potrebbe nei prossimi mesi interessare nuovamente l’area di 1,20.